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Storia dei Droni. Dal 1849 ai giorni nostri.

Originariamente costruiti per scopi militari, i droni hanno conosciuto, specialmente negli ultimi anni, una crescita esponenziale anche e soprattutto nel mercato dell’elettronica di consumo. Tuttavia, raccontare la loro storia scindendola da quella prettamente a sfondo bellico non sarebbe in alcun modo possibile.

I droni nascono infatti come vere e proprie armi di attacco o strumenti per le esercitazioni militari, sotto la forma di bombardieri pilotati da remoto, di bersagli volanti o di missili teleguidati per poi, nel tempo, trovare una loro connotazione commerciale nella distribuzione al grande pubblico sotto forma di piccoli quadricotteri, esacotteri ed ottocotteri. In questo modo hanno trovato posto nel tempo in un’ampia gamma di realtà lavorative: monitoraggio, sicurezza, mappatura, ispezioni, fotografia, cinema, consegna merci e molte altre ancora.

Non hanno perso tuttavia la loro importanza a livello militare, anzi, ad oggi sono molte le nazioni a vantare flotte più o meno nutrite di droni da guerra di ogni tipo. Solo gli Stati Uniti ne possiedono una flotta superiore alle 1000 unità composta da circa 18 modelli differenti.

Questo numero tuttavia sfigura al confronto di quello dei droni commerciali utilizzati sia a scopo lavorativo che a scopo ludico. La FAA (Federal Aviation Administration) ha stimato che nei soli Stati Uniti nel 2020 sono presenti circa 1,3 milioni di droni ad uso civile. Presto, grazie alle nuove normative di EASA (European Union Aviation Safety Agency) saremo in grado di avere delle stime altrettanto precise anche a livello Europeo.

mappa della distribuzione dei droni militari nel mondo

Cosa viene considerato un “drone”?

Prima di entrare nella storia di come siano nati e di come si siano evoluti i droni occorre precisare che cosa viene inteso con il termine “drone”.

Secondo varie enciclopedie e dizionari il termine drone tende ad essere definito in diverse maniere:

“velivolo privo di pilota e comandato a distanza, usato generalmente per operazioni di ricognizione e sorveglianza, oltre che di disturbo e inganno nella guerra elettronica” (Vocabolario Treccani).

Oppure: “aereo privo di pilota, telecomandato a distanza, impiegato in azioni di guerra, ricognizione o sorveglianza” (Vocabolario Garzanti). O ancora: “essenzialmente, un drone, è un robot volante che può essere controllato a distanza o in modo autonomo attraverso piani di volo controllati da software, lavorando in combinazione con sensori di bordo e GPS” (Agenda di Internet of Things).

Per raccontare questa storia, quest’ultima definizione è quella su cui ci focalizzeremo maggiormente.

1849. I primi droni militari della storia

Il concetto di drone così come noi lo pensiamo potrebbe addirittura risalire al 22 Agosto 1849. In quell’anno infatti la città di Venezia era assediata dall’esercito austriaco e fu durante questo assedio che uno degli ufficiali di artiglieria del generale austriaco Von Radetzky, tale tenente Franz Von Uchatius ebbe l’improbabile idea di lanciare un attacco attraverso alcuni palloni aerostatici, senza equipaggio, caricati con circa quindici chilogrammi di esplosivi e lanciati da una nave all’ancora di nome Vulcano.

Dotati di un rozzo dispositivo di cronometraggio a carbone di legna e filo di innesco di cotone ingrassato avrebbero dovuto posizionarsi perpendicolarmente al di sopra della città di Venezia, sospinti dai venti che soffiavano dal mare verso la riva, nel momento esatto in cui il dispositivo avrebbe rilasciato le bombe di cui erano provvisti.

Purtroppo per gli austriaci e fortunatamente per Venezia le condizioni meteo sfavorevoli e i venti irregolari causarono il ritorno di buona parte dei palloni sulle linee austriache. L’operazione non fu chiaramente considerata un successo e non venne mai né riproposta né tantomeno ripetuta.

Va detto che, per quanto questa strategia possa essere stata innovativa all’epoca, questo tipo di utilizzo non corrisponde esattamente alla definizione di drone che abbiamo deciso di perseguire in questo racconto. È comunque molto interessante notare come un concetto molto simile sia stato preso in considerazione già nel 1849, più di 170 anni fa e come questo tipo di pensiero, questa idea di sforzo bellico abbia guidato lo sviluppo della tecnologia dei droni nei secoli a venire.

disegni tecnici dei droni austriaci e un disegno dell'attacco a venezia

1907. L’alba del quadricottero

Una delle caratteristiche distintive dei droni ad uso civile, sia ludico che commerciale, dei nostri giorni è la configurazione a quattro rotori comunemente nota come “quadricottero”.

I primi rudimenti di questa tecnologia apparvero nella storia nel 1907 quando Louis-Charles Bréguet, un costruttore di aerei francese, fondatore della compagnia che poi diventerà Air France (ma questa è un’altra storia), modificò, con l’aiuto dell’amico e fisiologo, nonché premio Nobel, Charles Richet, il girocottero (o giroplano come preferite) di sua proprietà.

Lo trasformò in quello che si pensa essere il primo prototipo di quadricottero. Dunque… per essere chiari, il prototipo era assolutamente instabile, si sollevò da terra per soli 60 centimetri e, a voler essere pignoli, non fu nemmeno un vero e proprio volo in quanto il velivolo richiedeva che quattro uomini lo tenessero stabile mente a fatica cercava di sollevarsi da terra. Detto questo, però, è indubbio e riconosciuto che la forma del drone che siamo più abituati a vedere oggigiorno la dobbiamo anche a questo rudimentale apparecchio.

il quadricottero di breguet in fase di costruzione
Louis-Charles Bréguet ed il suo quadricottero in costruzione

1915-1920. Il grande balzo

Un poco più avanti nella storia invece trovano posto due progetti che hanno marcato una linea netta tra tutto quello che vi era stato in precedenza e quello che effettivamente siamo abituati ad intendere quando utilizziamo la parola drone.

Il primo vero velivolo senza pilota fu sviluppato infatti nel 1916, subito dopo lo scoppio della prima guerra mondiale. Il nome del progetto, nonché del velivolo era Ruston Proctor Aerial Target: un aereo militare senza equipaggio, pilotato tramite un innovativo sistema di guida ad onde radio, sviluppato dal visionario ingegnere britannico Archibald Low. Archibald, che fu successivamente soprannominato “il padre dei sistemi a guida radio”, nel 1917, assieme al suo team, fu anche l’inventore del primo razzo radiocomandato e di quella tecnologia che successivamente i Tedeschi utilizzarono come base per il loro programma missilistico V1 (Vergeltungswaffen1) durante la seconda guerra mondiale. Ma torniamo al Ruston Proctor Aerial Target: in poco tempo il team di Low, composto da circa trenta uomini mise insieme un aeroplano interamente comandato a distanza, funzionante ed affidabile, corredato addirittura da un innovativo sistema ad aria compressa che permetteva al drone di essere lanciato dal retro di un camion (da qui l’idea per la tecnologia missilistica di cui sopra).

Anche se i progetti di Low ebbero un certo successo sia dal punto di vista accademico che funzionale, il suo lavoro non fu considerato degno di essere perseguito dall’esercito britannico dopo la fine della guerra. I vertici dell’esercito non apprezzarono la maniera avanguardistica di concepire lo sforzo bellico portata avanti da Low ed i suoi progetti non furono sviluppati come avrebbero senz’altro meritato di essere. I Tedeschi, dal canto loro invece, ne capirono senz’altro l’importanza e più di tutto capirono cosa poteva voler dire avere una mente come quella di Low tra le file dei nemici, tanto che cercarono di assassinarlo, senza successo, per ben due volte.

Altro progetto che non può passare inosservato in questo racconto è quello che venne sviluppato dall’esercito statunitense nel 1917 con lo strano nome di Kettering Bug. Il drone poteva vantare già all’epoca controlli giroscopici ed era pensato per essere usato, si disse ai tempi, come “siluro aereo”.

Ogni Bug per essere lanciato veniva posizionato al di sopra di un carrello a quattro ruote che correva su di un binario portatile che poteva essere facilmente montato all’occorrenza in ogni luogo. Era in grado di colpire bersagli fino a 121 chilometri di distanza viaggiando ad una velocità di 80 Km/h. Dopo un tempo di volo calcolato precedentemente al lancio, un controllo andava a chiudere un circuito elettrico spegnendo il motore. Nello stesso istante un bullone veniva automaticamente retratto in modo da sganciare le ali dal corpo del velivolo, trasformandolo sostanzialmente in una bomba che precipitava al suolo dove i suoi 82 chilogrammi di esplosivo sarebbero detonati all’impatto.

Ne furono costruito circa 50 esemplari per iniziare. L’entusiasmo intorno al progetto era enorme. Ci fu un solo grosso problema: la guerra finì.

un kettering bug sulla rotaia pronto al decollo
Kettering Bug pronto al decollo montato sul carrello di lancio al di sopra del binario
un kettering bug ristrutturato conservato in museo
Un Kettering Bug ristruttrato ed esposto al National Museum of the United States Air Force in Dayton, Ohio

1930-1945. La crescita dei droni militari nella storia

In questi anni successero diverse cose che permisero ai droni di diventare nel tempo quelli che conosciamo oggigiorno. Due cose legano questi eventi: sono tutti, o quasi, inerenti al mondo della guerra e li accomuna la seguente definizione: Target Drone. Ma cosa significa?

La definizione moderna è la seguente: “i Target Drone (droni bersaglio) conosciuti anche come UAT (Unmanned Aerial Target) sono velivoli senza pilota utilizzati come bersaglio nelle esercitazioni militari.”

Fin dall’inizio degli anni ’30, la marina militare statunitense iniziò a sperimentare vari tipi di velivoli radiocontrollati, fino a giungere nell’anno 1937 allo sviluppo del Curtiss N2C. Il modello base, già in dotazione alla marina, venne modificato con un carrello anteriore speciale a tre ruote per garantire atterraggi più semplici ed equipaggiato con un radio controllo con stazione a terra che permetteva, per l’epoca, una discreta mobilità. Il suo utilizzo primario era quello di consentire agli uomini della sezione contraerea di allenarsi con il massimo del realismo possibile. In una sola occasione, tuttavia, uno di questi modelli fu utilizzato per effettuare, con successo, un attacco ad una nave bersaglio. Diventò così il precursore dei moderni missili-antinave.

il curtiss originale conservato in museo e una foto d'epoca della trasformazione in drone
Sopra IL Curtiss N2C originale conservato al National Museum of Naval Aviation e sotto la trasformazione in Target Drone

Le cose si mossero anche sul fronte inglese dove, nel 1935, venne sviluppato uno dei droni radiocontrollati più rinomati di questo periodo: il “Queen Bee”, testato per la prima volta davanti agli occhi di un interessatissimo Winston Churchill.

Il Queen Bee era una modifica del non meno famoso de Havilland DH-82A Tiger Moth. Era dotato di diversi tipi di controllo: poteva infatti essere pilotato da una postazione a terra, come di norma, ma anche da un altro aereo o una nave in movimento. Poteva decollare ed atterrare su normalissime piste di atterraggio oppure essere lanciato da un sistema a catapulta (un po’ come succede sulle moderne portaerei) per poi essere recuperato in mare su galleggianti.

winston churchill durante una delle prove del drone queen be
Winston Churchill assiste ad un test di volo di un prototipo del Queen Bee

Il sistema di controllo era piuttosto interessante: utilizzava una semplice ruota molto simile a quella di un vecchio telefono analogico mediante la quale il pilota poteva letteralmente “comporre”, così come avrebbe fatto per un numero telefonico, i comandi da inviare al drone. I numeri sulla ruota corrispondevano a semplici comandi come: vira a destra, a sinistra, picchia, ecc. Chiaramente la maneggevolezza era ridotta rispetto a quello che si poteva fare controllando l’aereo dalla cabina di pilotaggio, infatti gli alettoni rimanevano sempre bloccati in posizione neutra ed il pilota utilizzava per il volo timone, equilibratori e manetta.

Questo sistema di controllo rientrava in misure incredibilmente ridotte per l’epoca, sia nei componenti a terra che nelle parti montate sull’aereo che occupavano il solo posto del passeggero, mentre quello del pilota restava sempre libero per un eventuale collaudatore. Tutto questo a dispetto del trasmettitore radio dedicato che aveva per contro le dimensioni di un furgone da consegne …

la scatola di comando del drone queen be
Sistema di controllo a terra del Queen Bee

Come è facile intuire il Queen Bee rappresentò un enorme passo avanti anche se, va detto, uno dei suoi benefici più immediati non fu proprio entusiasmante: rivelò delle carenze terribili nell’efficacia dei cannonieri e dei sistemi antiaerei britannici. Non era infrequente che un Queen Be volasse per anche più di un’ora davanti alle milizie schierate per l’addestramento per poi atterrare senza nemmeno un graffio.

La leggenda vuole che ad un addestramento al quale stava assistendo il re in persona, passato diverso tempo durante il quale l’artiglieria cercava inutilmente di colpire il Queen Bee di turno, uno degli ufficiali di alto grado fu visto sussurrare ad un suo subordinato: “Perdio, dite immediatamente al pilota di comporre SPIN”. Ebbene, SPIN era la serie di comandi studiata per fare in modo che il drone precipitasse su un eventuale bersaglio come un missile aria-terra. A quel punto, infatti, il drone si schiantò in mare come se fosse stato colpito dalla contraerea, nell’esultanza generale del pubblico presente.

Queen Bee fu sicuramente uno dei primi velivoli radiocontrollati della storia a riscuotere un notevole successo, ne vennero prodotti infatti quasi 400 esemplari nel corso degli anni.

il queen be in volo durante una dimostrazione con pubblico
Un modello di Queen Bee durante un addestramento con pubblico

Ma il vero vincitore di questa corsa a distanza fu senza ombra di dubbio il target drone conosciuto con il nome di OQ-2 Radioplane. Un aeroplano di dimensioni molto contenute (lungo 2,65 metri e con un’apertura alare di 3,7 metri), di relativamente semplice costruzione, alimentato da un motore a pistoni da 6 cavalli di potenza che andava ad azionare due eliche controrotanti. Il lancio veniva effettuato tramite catapulta ed il velivolo era dotato di un paracadute per ammortizzare l’atterraggio in caso di abbattimento in modo da poter essere recuperato, riparato e riutilizzato per addestramenti successivi. Non fu mai dotato di un vero e proprio carrello di atterraggio, nemmeno nelle versioni più avanzate.

 Originariamente progettato da Walter Righter, il progetto fu acquistato dall’attore Reginald Denny che dopo alcune varianti presentate all’esercito americano tra il 1940 e il 1941 riuscì a convincere i vertici a procedere ad acquisti in serie. Ne furono costruiti, secondo gli archivi della fabbrica, circa 9.400 esemplari.

il drone qq2 sulla rampa di decollo
Un modello di OQ-2 Radioplane ed il suo sistema di lancio

Una curiosità: in questo stabilimento, alle porte di Los Angeles, il fotografo dell’esercito David Conover scattò una foto ad una giovane ragazza al lavoro sull’assemblaggio del motore di uno degli OQ-2 in produzione in quel momento. La ragazza si chiamava Norma Jeane Dougherty e di lì a poco avrebbe cambiato nome in Marylin Monroe.

marylin monroe fotografata da david conover
Una giovane Marilyn Monroe fotografata da David Conover all’assemblaggio di un OQ-2 Radioplane

Per quanto riguarda invece la tecnologia dei droni commerciali, per come oggi li conosciamo, non vi è molto da riportare in questi anni se escludiamo i primi tentativi di equipaggiare i velivoli con delle telecamere allo scopo di riportare le immagini riprese in diretta al punto di controllo.

Senza farla lunga: non furono per niente un successo. Per svariati motivi. In primo luogo la tecnologia televisiva era assolutamente agli albori ed ebbe una serie di false partenze proprio in quegli anni, arrivò infatti ad essere una presenza fissa nella vita quotidiana delle persone comuni solo nel decennio successivo, probabilmente anche grazie ai forti investimenti sostenuti dall’esercito americano in questi progetti.

Un esempio su tutti: per quelli che venivano chiamati in codice progetti Afrodite, dei vecchi B-17 e B-24 prendevano il volo con piloti umani i quali poi una volta nei pressi dell’obiettivo si paracadutavano a terra lasciando la guida dell’aereo ai radiocomandi da remoto che mantenevano una traiettoria di volo prestabilita. A quel punto il sistema televisivo montato sull’aereo trasmetteva le immagini al punto di controllo in modo da fornire una visione dall’alto della battaglia. La qualità delle immagini, della trasmissione stessa e dei mezzi hardware utilizzati furono lo scoglio più grosso e nessuno dei tentativi fu mai considerato un vero e proprio successo.

il primo sistema tv installato sui droni

In ultimo possiamo citare il TDR-1, testato nel 1944 e prodotto in circa duecento esemplari. Considerato per la prima volta nella storia un “drone d’assalto”, era infatti in grado di sganciare bombe oltre che essere usato come missile teleguidato. Fu usato solamente in maniera sporadica e senza riportare particolari successi.

L’unico utilizzo di droni di questo tipo, portato avanti in questo periodo che fu considerato un successo, fu quello dei V-1 “DoodleBugs” sviluppati dall’esercito tedesco. Progettati sulla spinta dell’idea del 1917 di Archibald Low furono senza ombra di dubbio i primi veri missili teleguidati della storia. Largamente utilizzati nelle campagne tedesche di “Terror Bombing” su diverse città britanniche, tra le quali Londra, erano dotati di tecnologie più semplicistiche rispetto a quelle di cui abbiamo parlato a riguardo dei Target Drone.

Utilizzavano un semplice autopilota per controllare la velocità, dei giroscopi per gestire l’imbardata ed il beccheggio, una bussola magnetica per il mantenimento dell’azimut ed un dispositivo barometrico per controllare l’altitudine. Timone ed elevatore erano invece controllati tramite un sistema ad aria compressa. Potevano percorrere all’incirca 240 Km ad una velocità di 650 Km/h. Così come il Kettering Bug di Low anche i DoodleBugs prevedevano un calcolo anticipato del tempo di volo necessario a raggiungere il bersaglio. A quel punto, una volta trascorso il tempo calcolato, il motore si spegneva facendoli precipitare al suolo.

soldati che spostano un drone tedesco doodlebug v1
IL DoodleBug V1, dove V1sta per “Vergeltungswaffen 1”, tradotto dal tedesco come Arma di Rappresaglia 1

Nel quadro generale dunque, le speranze riposte in questa tecnologia ancora una volta si erano scontrate con le limitazioni tecniche del periodo storico. Per rendere l’idea della frustrazione a cui probabilmente andavano incontro i visionari progettisti dell’epoca, il modello chiamato XBQ-1, altro drone d’assalto americano innovativo dell’epoca, si schiantò durante il suo primo volo…

1962-1975. La guerra del Vietnam ed i primi riconoscimenti

Febbraio 1966. Il radar di un sito missilistico terra aria di Hanoi, Vietnam del Nord, aggancia quello che agli occhi degli operatori è a tutti gli effetti un aereo da ricognizione americano. Pochi secondi dopo arriva l’ordine di abbattimento: il velivolo viene colpito e precipita al suolo tra i festeggiamenti del personale della base. Mai ci fu occasione più sbagliata per farlo …

I militari vietnamiti erano infatti stati ingannati da quello che in gergo veniva chiamato “sniffer drone” lanciato al solo scopo di provocare quell’attacco. Nei pochi secondi necessari al missile a raggiungere il suo obiettivo, il drone aveva rilevato una mole di dati enorme e l’aveva trasmessa ad un aereo in volo a distanza di sicurezza. Dati di tracciamento e di acquisizione del bersaglio, segnali di guida e la sequenza con cui erano stati trasmessi al missile. Tramite questi dati fu semplice per gli esperti di guerra elettronica americani studiare un sistema di contromisure per confondere e rendere inefficace il sistema missilistico vietnamita.

Due anni prima, infatti, era entrato in gioco nella guerra vietnamita il “Distaccamento Droni” del 4080° Stormo di Ricognizione Strategica degli Stati Uniti d’America. Dotato di due DC-130 modificati ad hoc per il trasporto di quattro droni bersaglio FireBee, due droni da ricognizione 147-A FireFly, trasmettitori UHF ad altissima frequenza e le apparecchiature di guida e comando, fu la prima unità strategica della storia a focalizzare tutta la sua potenza di intelligence sui droni.

Il FireFly specialmente era un mezzo eccezionale per l’epoca. Vantava infatti un raggio d’azione di quasi 2000 chilometri, poteva volare ad un’altezza di 16 ed era dotato di un rudimentale, ma perfettamente funzionante, sistema di anti-rilevamento dai radar.

La storia del modello 147 è molto varia ed interessante e meriterebbe un approfondimento tecnico a parte, per il momento l’importante è comprendere che grazie a lui per la prima volta nella storia, l’esercito Americano sembrò entusiasta dei risultati forniti dai droni nello sforzo bellico tanto da consentire ai progettisti di migliorare il FireFly in diversi modelli consecutivi. Nelle sue varianti successive fu conosciuto perlopiù con il nome di Lighting Bug.

A questo punto dell’evoluzione della tecnologia la sfida più grande divenne il recupero del mezzo alla fine del volo. Il drone era programmato per essere diretto sempre verso il campo di aviazione di recupero, quindi l’unità posta a terra agganciava il segnale e dispiegava il paracadute a comando (che in caso contrario si apriva a carburante esaurito).

Anche nei casi più positivi tuttavia i droni si danneggiavano spesso all’impatto col suolo e richiedevano riparazioni lunghe e costose. Nei casi peggiori potevano addirittura precipitare in mare con tutte le difficoltà di recupero annesse oppure essere trascinati a terra dal proprio stesso paracadute a causa del vento per centinaia di metri. Questi eventi oltre che a danneggiare il drone stesso, come facilmente intuibile, avevano come conseguenza ulteriore il fatto di danneggiare spesso irreversibilmente il materiale video girato in volo e di negarne quindi lo studio all’intelligence che lo avrebbe analizzato per la pianificazione strategica di ogni missione.

Nonostante le difficoltà le missioni con i droni andarono costantemente ad aumentare di numero per diversi motivi: le difese aeree del Vietnam miglioravano e l’esercito nordvietnamita aveva acquisito aerei da guerra sempre più performanti (MiG-17 e MiG-21 su tutti) rendendo le operazioni con equipaggio sempre più rischiose.

Fu così che dal 1965 in avanti le unità strategiche dell’esercito coinvolte nello scontro a vantare l’utilizzo dei droni divennero sempre più numerose ed in meno di due anni fecero segnare qualcosa come 160 missioni di ricognizione di successo, fino all’evento del quale abbiamo parlato all’inizio di questo paragrafo che li consacrò, nel 1966, come elemento fondamentale ed imprescindibile dall’idea di esercito moderno.

Da quell’anno infatti i droni iniziarono ad essere coinvolti direttamente nelle fasi di combattimento invece che nelle sole fasi di analisi e ricognizione. Alcuni erano usati per mettere in atto una tecnica di contromisura elettronica detta “chaff” che consisteva nel disperdere nell’aria una nuvola di materiali radar-riflettenti che accecavano momentaneamente i radar nemici. Altri montavano elettronica per il disturbo radar e la mimetizzazione in modo da effettuare test in maniera sicura prima di essere utilizzata direttamente sui velivoli con equipaggio ed altri ancora erano equipaggiati  con potenziamenti radar per far credere ai nemici di essere aerei d’attacco in modo da essere ingaggiati e poter trascinare lontano i MiG nemici.

un lighting bug vesrione tomcat in volo
Lighting Bug modello 147SC TomCat

Venne introdotto un Lighting Bug modificato appositamente per il volo a bassa quota e dotato di una forte luce a scarica che veniva attivata su bersagli prestabiliti per illuminarli a giorno.

Proprio le missioni a bassa quota furono quelle che diedero una ulteriore spinta al progredire della tecnologia. Il sistema di navigazione, all’epoca montato sui DC-130 che ospitavano i controlli dei droni, aveva una precisione relativa allo stesso modo del sistema installato sul drone stesso. Questi fattori combinati potevano far sì che, in alcune occasioni, il drone riferisse di trovarsi in una posizione che differiva da quella reale, con un margine di errore che poteva segnare una distanza fino a 15 chilometri. Questo, come facilmente intuibile, non era un problema nelle missioni di ricognizione ad alta quota, in quanto gli obiettivi grandangolari attutivano il margine di errore, lo era invece nelle missioni a bassa quota dove la precisione della posizione era un fattore non più marginale per avere immagini precise del luogo desiderato. Meno del 50% di queste missioni infatti riusciva a riportare alla base del materiale video utilizzabile dall’intelligence.

Il miglioramento dei modelli 147 era però ormai continuo di anno in anno, di test in test, di missione in missione. Il problema della copertura a bassa quota divenne sempre più marginale con il miglioramento dei sistemi di navigazione e la qualità del materiale acquisito era sempre più alta grazie a telecamere più leggere e pellicole più sensibili.

I nuovi modelli, nel 1969, potevano essere controllati da una distanza di oltre 1000 chilometri ad un’altezza di oltre 21 chilometri e, se supportati da altri droni a scopo di mimetizzazione radar, erano molto difficili anche solo da rilevare, figuriamoci da abbattere.

un lighting bug che decolla da una portaerei
Lighting Bug modello 147SK, modificato per essere lanciato da una nave al largo

L’ultima missione risale al Giugno del 1975. In 11 anni di servizio i droni avevamo portato a termine 3.435 missioni. Di 544 Lighting Bug perduti, meno di un terzo lo furono per problemi tecnici mentre artiglieria, missili e aerei da guerra rivendicarono il resto. Interessante notare, per capire l’entità del successo di questa tecnologia in questo conflitto, come i nordvietnamiti persero ben sette caccia MiG contro i Lighting Bug: in un caso un aereo rimase senza carburante durante un inseguimento ad un’esca, in tutti i restanti casi perché colpiti dal fuoco amico dell’artiglieria o di altri caccia all’inseguimento dei droni. Un Lighting Bug raggiunse nientemeno che lo status di “Asso” per essere rimasto coinvolto in ben cinque dei sette abbattimenti totali.

I Lightning Bug hanno dato un contributo inestimabile alla guerra del Vietnam: fornendo informazioni sulle operazioni tecniche e sulle tattiche nordvietnamite, salvando così la vita a molti equipaggi. Hanno scoperto innumerevoli basi nemiche, siti missilistici SAM, siti di comunicazione per il controllo a terra delle truppe nordvietnamite e persino un campo di prigionia. Furono loro inoltre a portar a galla le prime prove della presenza di elicotteri sovietici nel Vietnam del Nord.

Ancora più importante, hanno condotto la prima intelligence di comunicazione in tempo reale controllata a distanza, consentendo agli operatori americani di avvertire i piloti in volo dell’attività aerea e contraerea nemica. Ultimo ma altrettanto importante hanno fornito le uniche valutazioni con cadenza quotidiana dei danni provocati dai raid di B-52 durante il Linebacker II, la campagna di bombardamenti che portò Hanoi al tavolo delle trattative.

Con la fine della guerra l’interesse a livello militare continuò, anche se ad un regime decisamente inferiore. Il settore bellico americano dopo gli insuccessi riportati, anche e soprattutto a livello mediatico, dalla guerra del Vietnam subì dei tagli devastanti. La segretezza dei progetti, che vennero comunque portati avanti, non permise ai droni di diffondersi già in quel periodo ad un pubblico più ampio.

1970-1980. Il boom degli aerei radiocontrollati.

L’interesse per i velivoli aerei senza pilota non sarebbe riemerso fino agli anni ’80. Tuttavia, nel decennio a partire dal 1970, l’avanzamento rapido della tecnologia, la miniaturizzazione dei componenti, la riduzione dei costi dei computer ed il netto miglioramento dei sistemi di navigazione resero i droni più pratici ed economici dandogli la spinta per ramificarsi anche nel settore consumistico privato a costi ragionevoli sotto forma di piccoli aerei radiocontrollati.

Questo si trasformò in una sorta di boom nelle vendite e soprattutto nell’interesse generale riguardo a questa passione prettamente legata all’ambito modellistico. Venduti nella quasi totalità dei casi sottoforma di kit di montaggio, potevano essere assemblati, testati e, quel che più ci interessa, modificati direttamente dagli appassionati. Reperibili in diverse forme e dimensioni, che perlopiù puntavano a riprodurre le controparti reali sia storiche che moderne, erano adatti a volare, a seconda delle dimensioni, sia all’aperto che in spazi chiusi. Ci fu così contestualmente un fiorire di club di hobbisti del volo radiocomandato che sicuramente, a suo modo, diede una spinta al miglioramento della tecnologia e all’aumento dell’interesse generale intorno al settore.

vari esempi di modelli radiocontrollati

1980-2010. La grande spinta nella storia

Anche se gli Stati Uniti diedero una grossa spinta alla produzione di massa di droni per l’esercito che, come abbiamo visto, ottennero buoni successi, i droni, all’inizio degli anni ’80, erano ancora considerati eccessivamente costosi ed inaffidabili.

C’è un momento preciso che viene da tutti riconosciuto come quello che ha cambiato questa concezione. È il 1982, siamo nel pieno della guerra del Libano, l’Air Force israeliana decide di lanciare un’operazione con il nome in codice di Mole Cricket 19, il cui scopo è quello di abbattere le batterie antiaeree di missili terra-aria siriane, di costruzione sovietica, presenti nella Valle del Beqà, nel nord est del Libano.

Per l’operazione vengono usati principalmente droni IAI Malat Scout e Mastiff. Con un’apertura alare di 15 metri circa, una lunghezza di quasi 8 metri ed un peso di 950 chilogrammi, potevano volare ad una velocità di 195 Km/h a circa 6000 metri di altezza per poco più di 25 ore.

Non fu necessario… di ore ne bastarono due. Quello fu il tempo necessario alla flotta israeliana per abbattere 29 delle 30 postazioni missilistiche presenti nella zona dopo che i droni avevano reso totalmente cieche le difese nemiche rendendo inutilizzabili i radar nemici. Da quel momento i droni non furono mai più considerati né troppo costosi né tantomeno inaffidabili.

il drone israeliano scout
Il drone “Scout” prodotto dalle Israeli Aircaft Industries
il drone israeliano mastiff
Il drone “Mastiff” prodotto dalle Israeli Aircaft Industries

Altro progetto interessante fu quello dell’RQ2 Pioneer progettato in team dagli Stati Uniti con Israele. Un drone di medie dimensioni, dai costi contenuti, pensato per essere utilizzato principalmente a scopo di sorveglianza, acquisizione dei bersagli e trasmisione di informazioni in tempo reale, poteva essere pilotato da 185 chilometri di distanza ed essere recuperato mediante una rete posta su di una nave al largo o tramite gancio di coda più cavo di arresto a terra.

Una curiosità: fu utilizzato fino al 1991 durante la Guerra del Golfo. Mentre valutava i danni causati dai colpi di artiglieria della marina americana nei pressi di Kuwait City, durante un passaggio a bassa quota, diversi soldati iracheni segnalarono al drone stesso tramite gesti inequivocabili l’intenzione di arrendersi. Fu la prima volta nella storia che dei soldati di fanteria si arresero ad un drone per essere poi catturati dalle truppe di terra statunitensi.

sistema di raccolta dei droni con rete a bordo delle navi al largo
L’ RQ2 Pioneer e il sistema di recupero in mare tramite rete

È importante ricordare che sempre in questo periodo gli sviluppatori di droni si concentrarono anche, per la prima volta, sul possibile utilizzo di fonti di energia alternative come l’energia solare. Questi sforzi portarono allo sviluppo di più progetti interessanti chiamati HALSOL (High Altitude Solar) tra cui spiccava l’Aerovironment Pathfinder che, sponsorizzato nientemeno che dalla CIA, si evolse poi nel NASA Pathfinder-Plus che arrivò a volare, nel 1997, a circa 15.000 metri di altezza durante un test in cui superò agevolmente le 15 ore di volo.

il drone pathfinder in volo
L’Aerovironment Pathfinder-Plus progettato dalla NASA

Il Predator, forse il più famoso ad oggi tra tutti i droni da combattimento, venne sviluppato a partire dal 1990 ma entrò in servizio ufficialmente solo nel 1996. Inizialmente pensato solo per le operazioni di ricognizione viene pilotato da un team di 3 persone: un pilota e due operatori ai sensori, anche se in realtà il team completo di persone necessarie al suo buon funzionamento è composto da ben 55 unità. Può volare a circa 730 chilometri di distanza con un’autonomia di 14-16 ore ed è equipaggiato con ogni sorta di sensore e rilevatore. Presto, data l’efficienza del mezzo, venne adattato al trasporto e al lancio di missili Hellfire.

Dal 2000 in avanti molti dei droni militari cominciano, seppur in scala minore ad avere una più significativa somiglianza con i droni di nostra conoscenza: prendiamo ad esempio il Bell Eagle Eye, un drone a decollo e atterraggio verticale dotato di due rotori con la capacità di mantenersi in volo a punto fisso.

il beel eagle eye pronto al decollo
L’ Eagle Eye prodotto dalla statunitense Bell Helicopter Textron

Oppure l’RQ-14 il Dragon Eye, un piccolo drone per la sorveglianza e la ricognizione tattica che può essere lanciato a mano dall’operatore. Un sistema completo di questo tipo consta di tre droni, con un unico radio controllo, che possono essere stipati in un unico zaino di un singolo marines. Sono in grado di restituire immagini ad alta risoluzione e ad infrarossi.

L’RQ-11 Raven, sempre di AeroVironment, è un progetto molto simile: lanciato sempre a mano, vanta un motore elettrico molto silenzioso che lo rende difficile da localizzare. Può volare a 10 chilometri di distanza dal controllo ad un’altezza di 4.600 metri con una velocità di punta che sfiora i 100 Km/h. Ne sono stati prodotti attualmente più di 13.000 esemplari.

Ed ancora, il WASP, uno dei più utilizzati dalle Forze Armate Europee. Poco più di un chilo di peso, vanta un raggio di 5 chilometri, una durata in volo di oltre 50 minuti e una camera ad alta definizione montata su gimbal a tre assi controllato da remoto.

In ultimo il Puma che, più avanti nel tempo nel 2013, diventerà il primo drone ad essere certificato dall’aviazione civile americana (FAA) per poter volare nei cieli a scopo commerciale.

minidroni utilizzati dai soldati per le ricognizioni
In alto a sinistra l’RQ-14. In senso orario il WASP, il Puma e l’RQ-11

2010-OGGI. L’età dell’oro?

Gli anni che vanno dal 2010 ai giorni nostri hanno visto un’esplosione ed un avanzamento tecnologico dei quali siamo tutt’ora testimoni. Anni in cui, per la prima volta nella storia, abbiamo assistito ad un’evoluzione maggiore nell’ambito commerciale che in quello militare.

Secondo gli ultimi rapporti, ad oggi, sono presenti, in Europa, circa 10.000 unità di droni a scopo commerciale registrati e gli stessi rapporti prevedono che entro il 2025 saranno 200.000, venti volte tanto e 400.000 nel 2035.

Le applicazioni si sono diversificate sempre più e stanno continuando a farlo ad un ritmo impressionante: settore energetico, sicurezza pubblica e privata, media, assicurazioni, settore immobiliare, cinema e TV, telecomunicazioni, archeologia, industria mineraria e costruzioni sono solo alcuni dei campi di utilizzo.

Vediamo alcune delle applicazioni innovative un po’ più nel dettaglio:

  • L’agricoltura: le agenzie per la protezione dell’ambiente utilizzano già la tecnologia dei droni per la gestione del bestiame e la rilevazione delle colture. In futuro gli agricoltori e gli allevatori utilizzeranno droni in grado di monitorare e fertilizzare strategicamente i raccolti.
  • Conservazione: i droni vengono utilizzati per monitorare le specie in pericolo e mappare i cambiamenti nei vari ecosistemi del mondo.
  • Consegna: tutto ciò che può essere trasportato da un corriere può essere consegnato anche con i droni. È un mercato ancora in fasce ma vi si stanno interessando tutti i colossi del settore con Amazon in testa a tutti.
  • Gestione disastri ambientali: i droni possono andare in luoghi in cui gli esseri umani non possono accedere, quindi sono una soluzione ideale per le operazioni di ricerca e salvataggio ad alto rischio. Stesso discorso per la consegna di rifornimenti di emergenza in luoghi remoti e aree disastrate.
  • Logistica: i droni possono aiutare enormemente all’interno dei magazzini di grandi dimensioni per la gestione degli inventari. Da qualche tempo vengono prese in considerazione anche tecnologie per il trasporto di colli tra magazzini vicini.
  • Film e fotografia: i droni sono ormai di comune utilizzo anche tra i produttori e registi low-budget e Hollywood ha ormai a stipendio flotte di droni per le riprese aeree e non solo.
  • Gli Internet Service Provider: aziende di un certo rilievo come Facebook e Google stanno sperimentando da qualche anno droni ad energia solare allo scopo di portare connettività in luoghi difficili da raggiungere con la comune fibra. Questo potrebbe trasformare la connettività così come la conosciamo.
  • Le forze dell’ordine: le forze di polizia ricorrono sempre più spesso all’uso dei droni, e probabilmente cominceremo a vedere aerei senza pilota ad integrare la presenza della polizia sul territorio.

È ovviamente presto per scrivere una storia esaustiva dei droni in questi anni quando proprio ora stiamo assistendo ad una fase di assestamento e di raggiungimento di una consapevolezza che porterà negli anni a venire ad una piena produttività del settore.

collage di droni moderni in vari utilizzi: consegne, agricoltura, ecc.
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